Senza mai arrivare in cima – Viaggio in Himalaya

Senza mai arrivare in cima

Mi sedetti contro uno dei mulini e osservai il monastero.

Più in alto, sui pendii erbosi del monte Somdo, un branco di bharal brucava al sole. Nessun leopardo in vista, ma il cielo del pomeriggio era limpido e a quella quota la luce aveva qualcosa di assoluto, come luce al suo stato più puro. E così l’aria rarefatta che respiravo, l’acqua gelida che accarezzavo con la mano, la roccia scaldata dal sole contro cui ero seduto.

A quella purezza ne corrispondeva un’altra dentro di me, era questo il pensiero a cui stavo cercando di dare forma: il vento, il torrente, la luce, la pietra erano la stessa sostanza del mio sangue, delle mie fibre, dei miei organi, e li mandavano in risonanza così come il tamburo del monaco aveva scosso le mie membrane.

Bum, bum, bum: io sono fatto di questo, di questo, di questo. La montagna mi conduceva all’essenziale. 

Un pensiero riguardo “Senza mai arrivare in cima – Viaggio in Himalaya

  1. Dopo aver letto questo incipit (o brano se l’hai estratto dal corpo dell’opera) ho letto il tuo “chi sono” e di entrambi sono rimasto affascinato. Sono uno la cui avventura è quella di spostarsi per casa, dalla scrivania al terrazzo per guardare il mondo nel suo panorama sempre uguale. Capirai quindi quanto mi abbia colpito quello che hai scritto (per inciso sono del 1945 – lo stesso in cui sei nata tu – ma quanti anni luce ci separano!) e quanta voglia ho di affacciarmi dal mio terrazzo e guardare il mondo attraverso le tue pagine. So che non ne resterò deluso. Grazie!

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